Le strutture

Lo storico d’arte G.C, Bojani individua nella fine del decennio una ulteriore svolta di lavoro, “con le strutture, sferiche o comunque plasticamente geometriche, erette tra trame ordinate di filamenti di materia, quasi griglie concettuali fatte opera concreta, fa mostra di una solida preoccupazione metodologica (id est, conoscenza trasmissibile e replicabile: la scuola appunto …), nei concetti di cellularità e modularità, di proporzione interna e di padronanza razionale della forma di riferimento – e non per mera derivazione – al pensiero e al grande sogno novecentesco di una ulteriore “divina proportione”, di una magia non mistica del numero, di una perfezione non algida, ma fatta cosa fisica”.

È lo stesso Fornarola a confermare questo percorso “fra arte e matematica c’è uno stretto rapporto. Il mio è uno strutturalismo modulare, l’elemento è il quadrato con la x in mezzo. È il risultato di un lungo studio che mi ha permesso di ottenere il perfetto assemblaggio degli elementi modulari combinati a due a due, poi incastrati con abilità, un raffinato lavoro che richiede la perizia di un dentista”

È infatti nel 1979 che vince il XIX concorso internazionale di ceramica di Gualdo Tadino con una delle opere più rappresentative della sua pur copiosa produzione artistica: “la struttura con doppia sfera”. Un capolavoro unico anche solo a considerare che è stato realizzato utilizzando una materia fragile come la terracotta.

A cogliere la difficoltà di questo lavoro è un altro artista, Giuseppe Pende, anch’egli insegnate di pittura e disegno dal vivo alla Scuola d’Arte di Fermo. In una intervista apparsa sul Resto del carlino del 11 ottobre 1979 egli afferma: “è necessario si sappia che solo bigoli di argilla d’argilla e non fili metallici, come sembrerebbe, quelli che compongono la struttura. Gli intenditori dicono che è una difficoltà tecnica enorme”.

Difficoltà confermata dallo stesso Fornarola: “anche il rapporto con il fuoco sta l’abilità del mio mestiere, è una alleanza sempre precaria, occorre prevedere, calcolare le deformazioni per effetto del calore e giocare d’anticipo. Non mi faccio sorprendere. Sono 1500 le ore di ricerca, ad esempio, per mettere a punto la mia prima sfera grande”.

Giuseppe Pende si ripete, sempre sul Resto del Carlino del 28 dicembre 1980: “Vorrei dire questo: se io, poniamo, rubata l’idea avessi voluto realizzarla, avrei sicuramento trovato difficoltà serie e forse insormontabili nel semplice calcolo e nella messa in opera dei filamenti in argilla del globo. È un problema creato dalla necessità di trovare i limiti, tra i quali possono, sebbene in antitesi fra loro, conciliarsi il peso totale e lo spessore di detti bigoli di creta fresca, sia per la statica che per … l’estetica. Il Fornarola non è nuovo a queste diavolerie. Quest volta il nostro instancabile e puntiglioso ricercatore e sperimentatore ha fuso invece ardui problemi tecnici e profondo significato estetico. A realizzare quindi qualcosa di durevole difficilmente riuscirebbe l’artista sfornito di capacità virtuosistiche o chi, ferrato tecnicamente, non possegga fantasia poetica”.

Così Lucio del Gobbo nel 1993 in occasione della mostra personale di Fornarola “la tecnica dell’originalità”, tenutasi a Roma,: “gli esperti di ceramica individuano nei prodotti del Fornarola il crisma dell’irripetibile, e li guardano spesso con una curiosità e un’attenzione che da soli ne qualificano l’originalità e il valore. Dietro ad ogni prodotto c’è una quantità di lavoro inimmaginabile”.

Lo storico dell’arte Stefano Papetti, in occasione del Premio internazionale di scultura Edgardo Mannucci XIX Edizione di Arcevia (AN), dove Fornarola parteciperà come artista ospite, scrive di lui: “ammirando le opere che Salvatore Fornarola elabora nel suo studio fermano a partire dagli anni 60, viene alla mente la vicenda legata alla figura di Aracne, la giovane ateniese in grado di tessere tele tanto raffinate da suscitare l’invidia di Atena, che gelosa della sua abilità, nel corso di una competizione la trasformò in un ragno. Come i ragni, nel tessere le loro sottili trame seguono per istinto un preciso disegno, cosi Fornarola, utilizzando un esile filo d’argilla costruisce importanti forme che nascono dalla ripetuta variazione intorno ad un modulo quadrato dal quale traggono origine le sue solenni stele “.

Lucio Del Gobbo nell’opuscolo introduttivo alla mostra “l’artem fictilem” del 1989 conferma che “Fornarola trasforma la masse greve di quell’elemento primario e primigenio che è la creta, in filo, e attraverso questo intesse trame modulari, sottili e leggerissime, che opportunamente assemblate, riacquistano consistenza volumetrica: un processo lento ed ingegnosissimo che porta, per quella dose di eccezionalità che sempre ha in se l’evento artistico, la “massa” informe e muta, a dignità di forma comunicante”.  A rendere ancora più intelligibile il processo chiarisce Paolo Levi “ si tratta di forme semplificate, quasi primordiali, e riconducibili a figure geometriche elementari come il cubo, la sfera oppure il parallelepipedo, quest’ultimo il più delle volte dilatato fino a farne una esile colonna tesa verso l’alto in uno slancio metafisico che riprende e reinterpreta il concetto alla base della Colonna infinita di Brancusi. Osservando attentamente queste strutture – semplici solo in apparenza – si prende però coscienza della loro complessità con cui l’artista impiega il modulo costitutivo delle sue creazioni, il quadrato: è questa la cellula base da cui tutto scaturisce grazie alle insistite sovrapposizioni, intersecazioni e rotazioni che vanno a comporre le strutture finali, in un gioco dove la materia e alla luce che le attraversa assumono una forte valenza lirica”. Un “primo incontro” nel 2006 in Bosnia con lo scultore Guido Moretti, sugellato dallo scambio dei rispettivi catalogo, diede inizio ad un reciproco scambio di prospettive e suggerimenti